Una riflessione senza pretesa di storicità sull’attuale situazione.

In questa brutta storia, tra i personaggi inattesi c’è stata mia nonna, classe 1928, che si è improvvisamente trasformata in una sorta d’archivio storico di famiglia, più che in passato.Ha tirato fuori, dapprima, una storia che avevo sentito una sola volta. Questa volta, la storia si è arricchita di particolari. Quando ce la raccontò, la cosa fu detta en passant, senza darvi peso. Sua madre ebbe la spagnola, da ragazzina. I genitori la portarono in uno scantinato perché non contagiasse alcuno, e attesero il verdetto. Chiamarono anche il prete. La ragazzina si riprese, però, guarì in poco tempo e tornò coi suoi.

Poi ci fu il vaiolo del 1956, a Napoli. Mia nonna si era dimenticata di questa storia. Il vaiolo, il più letale virus dell’umanità, dimenticato in un angolo della memoria. Era incinta di mia madre e, una volta partorita, si vaccinò per il vaiolo e si chiuse in casa per due mesi. Poi le epidemie di colera, quelle anche i miei genitori le hanno vissute. Una vi fu immediatamente alla fine della guerra, come ora in Yemen. La guerra porta il colera come colpo di coda. Poi ne seguirono altre fino agli anni ’70. Mio padre si era anche dimenticato che fu vaccinato. Allora la vaccinazione fu fatta dall’esercito americano, sito nella base NATO di Pozzuoli. La situazione a Napoli era gravissima, il Monaldi andò in collasso e furono utilizzate le scuole per i ricoveri. Queste ultime furono chiuse da ottobre a Natale.
Sto leggendo molto sulla spagnola e gli storici restano allibiti dalle pochissime tracce che ha lasciato nelle testimonianze. La gente dimenticò tutto, in frettissima. La guerra, invece, quella non riuscì a dimenticarla. Mi colpiscono anche le dimenticanze della mia famiglia di eventi così tragici. L’attuale situazione, però, ha fatto emergere le paure di allora.
Forse è per questo che Napoli è stata molto ligia alle misure di quarantena. Chi vive in città sa, ad esempio, che dai “bassi” fuoriesce un forte odore di candeggina ogni mattino. Questa mania per le pulizie è legata alle epidemie che hanno imperversato in città (e nel Sud) dal 1836 al 1973. Alla parola “epidemia”, ai napoletani è scattato il senso atavico di quei ricordi, di cui sono ancora tutti testimoni. Ecco dunque che una metropoli, con la densità abitativa di Singapore, riesca a ridurre i danni al lumicino (come Singapore, d’altronde). Non è forse un caso che la città, come buona parte della Regione, abbia chiuso le scuole una settimana prima del decreto nazionale, sebbene i casi fossero poche decine. Questo passaggio è sfuggito, io credo, alle riflessioni intorno alla pochissima diffusione del morbo nel meridione d’Italia. Circa un mese fa il grosso degli esperti e dei decisori politici non attendeva altro che lo scoppio dell’epidemia al sud, dato per certo. Era questione di momenti, soprattutto dopo la discesa di centinaia di migliaia di persone. Tuttavia e per fortuna le cose non sono andate così. Si è allora invocato il clima come possibile rallentatore dell’epidemia, anche se la maggior parte degli esperti minimizza il ruolo di questi nella diffusione epidemica.
La diffusione del virus non ha intaccato, perciò, il meridione e ha permesso al Sud d’inviare medici, infermieri, mezzi, materiali. Ha permesso anche di ricoverare centinaia di pazienti. Ad esempio, si sono rivelati preziosissimi gli ospedali molisani, sostanzialmente intonsi dall’epidemia, permettendo di curare decine di pazienti del bergamasco e del bresciano. Ha permesso ad alcuni centri, d’altronde, di appurare protocolli, cure, sperimentazioni, altrove impossibili per il collasso delle emergenze. La cosa ha persino generato invidia negli ambienti accademici, che non si risparmiano mai quando si tratta di farsi la guerra, anche in questi momenti.
Come mia nonna, i napoletani (e i meridionali) avevano solo fatto finta di dimenticare. Quei ricordi li avevano allontanati il più possibile, com’è giusto che sia. Salvo tornare immediatamente nel nostro vissuto di oggi, come i primi veri anticorpi a questa epidemia. Quelli della memoria.

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